15 giugno 2009
Colpirne 1 sarebbe più che sufficiente per educarne 100
Il tragico evento che ha comportato la morte di tre lavoratori nella raffineria della Saras S.p.A. a Sarroch, ha nuovamente posto alla ribalta dell’opinione pubblica il problema degli infortuni sul lavoro grazie all’attenzione mediatica che episodi come questo suscitano.
In realtà, purtroppo, nulla di nuovo: in Italia si continua a morire e a subire infortuni di varia gravità con precisione statistica degna di un metronomo, che la televisione o i giornali ne parlino o meno, ma eventi come questi costituiscono un’occasione ghiotta per i giocolieri della retorica per esibirsi nei loro numeri, per quanto triti essi siano.
Tra le varie affermazioni che si sentono fare in simili occasioni, due sono quelle più ricorrenti:
- L’italia è il paese col maggior numero di morti sul lavoro in Europa;
- E’ necessario aumentare il numero di controlli.
Si tratta di due affermazioni impegnative che vale la pena analizzare singolarmente perchè, se dimostrassimo la veridicità della prima, certamente si dovrebbe dichiarare uno stato di emergenza necessitante di soluzioni drastiche e straordinarie, la prima delle quali non potrebbe che essere la repressione, ovvero il numero di controlli.
Prendiamo perciò come riferimento i dati Eurostat relativi agli infortuni sul lavoro, evitando però di riferirci ai valori assoluti (che non tengono conto della dimensione delle popolazioni lavorative nei vari paesi), ma considerando i “tassi di incidenza standardizzati”, ovvero il numero di infortuni ogni 100.000 lavoratori riferiti all’ultimo trienni di cui siano disponibili i dati definitivi.
Limitandoci alla sola Europa a 15 che contiene i paesi più simili al nostro, possiamo verificare immediatamente i seguenti dati, riferiti al triennio 2003-2005 (l’ultimo che riporti i dati definitivi per l’Europa):
- Infortuni mortali, esclusi quelli stradali e a bordo di ogni altro mezzo di trasporto nel corso del lavoro [tasso per 100.000 lavoratori]:
Come si può vedere l’Italia è sostanzialmente vicina alla media europea discostandosi del 13% rispetto ad essa, in un quadro europeo ben lontano dal definire una situazione nazionale di emergenza (considerando l’intera area euro, lo scostamento è del 4%).
Andando ad analizzare i dati riferiti agli infortuni nel loro complesso, il dato è ancora più rilevante:
- Infortuni in complesso che abbiano comportato un’assenza dal lavoro superiore a 4 gg esclusi gli infortuni in itinere [tasso per 100.000 lavoratori]:
L’Italia risulta essere al di sotto della media europea (-6%) davanti a paesi come la Germania, la Spagna e la Francia.
Pertanto la prima affermazione, quella che vedrebbe l’Italia maglia nera nel fenomeno delle morti bianche, si rivela essere un luogo comune non veritiero. Ovviamente un simile riscontro non ha la funzione di sminuire un problema, quanto di porlo nella sua giusta dimensione al fine di delineare le strategie più corrette per fronteggiarlo. Se infatti l’analisi di un fenomeno è errata, le soluzioni che si proporranno, saranno inadeguate.
Veniamo così alla seconda affermazione, quella che invoca un maggior numero di controlli e che si scontra con un’altra presunta realtà: il numero di ispettori è insufficiente rispetto al numero di aziende da controllare (si parla della probabilità di un’azienda di ricevere un’ispezione ogni 30 anni). Vale la pena allora verificare la consistenza di questa affermazione, con la seguente tabella che riporta la distribuzione delle aziende per numero di infortuni nel settore industria e servizi:
Come si può facilmente constatare, su 3.745.224 aziende, il 92,4% non ha subito nel 2006 nemmeno un infortunio, mentre il 65,88% degli infortuni si sono concentrati in 40434 aziende, ovvero quelle che hanno subito in un anno più di tre infortuni.
Quest’ultimo non è un numero impossibile da sottoporre a controlli: un esercito di 2000 ispettori dovrebbe limitarsi a 20 ispezioni in un anno e, elevando questo numero a 40, si potrebbero controllare tutte le aziende che hanno denunciato un numero di infortuni superiore a 2, coprendo così il 75,87% di quelle situazioni probabilmente endemiche (2 o 3 infortuni in un anno non sono un caso, ma sono il frutto di una serie scientifica di mancato rispetto delle norme).
Il problema perciò non è quello di aumentare il numero di controlli, ma di far sì che vengano eseguiti in modo mirato, puntando finalmente alla reale prevenzione del fenomeno.
Scritto il 16-6-2009 alle ore 21:15
I dati di confronto in UE (precisato che un infortunio in UK non è lo stesso che in Italia) li conoscevo… la considerazione sulle aziende con infortuni / controllori direi che non si può esser che d’accordo
grazie Andrea!
Scritto il 19-6-2009 alle ore 13:45
Non sono in accordo con Andrea. Primo, come faccio a sapere, se non a posteriori, quali saranno le aziende in cui avverranno incidenti, per focalizzare su loro i miei 2000 ispettori? Secondo, che 2-3 infortuni l’anno sia indice certo di scientifico mancato rispetto delle norme mi par eccessivo. Terzo, per definizione l’azione di prevenzione deve prevenire. E per prevenire devo fare controlli a macchia d’olio, se no lascio aleggiare un senso di impunità fino all’avvenuto incidente. Quarto, che il grosso degli incidenti avvenga solo in 40.000 aziende mi lascia molto perplesso.
Si lo so, è ora di pranzo, meglio che rialzi il mio livello glicemico…
Scritto il 22-6-2009 alle ore 16:42
Chiedo scusa ma il dato Eurostat a mio avviso è “inattendibile” rispetto all’economia reale italiana.
Con il “sommerso” che ci ritroviamo credo che il numero di infortuni sul lavoro effettivi sia di gran lunga più alto …
Purtroppo ci ritroviamo a parlare di infortuni sul lavoro quando ci scappa il morto … e allora si scopre che la manovalanza era “assunta” in nero, che il cantiere non rispettava le più elementari norme di sicurezza ecc.
Insomma, a mio avviso la maglia nera è nostra eccome.
Come capita spesso, l’Italia ha “sulla carta” normative all’avanguardia … se anche i morti sul lavoro fossero rappresentati da sagome di cartone saremmo a posto …
Grazie.
Davide Di Felice
Scritto il 22-6-2009 alle ore 17:20
Non è frequente riscontrare un approccio alla materia cosi rigoroso come quello proposto da Andrea Rotella. Occorre infatti molto coraggio per superare l\\\’impostazione \\"ideologica\\" che sembra caratterizzare il dibattito, nel nostro paese, sul tema della sicurezza. Una riflessione meditata sui numeri e sulla realtà che essi effettivamente rappresentano, ci permetterebbe di aumentare l\\\’efficacia degli interventi finalizzati ad aumentare la prevenzione degli infortuni, ma anche di ottenere maggiore collaborazione dal mondo delle imprese.
Ringrazio ed auspico ulteriori approfondimenti.
Scritto il 22-6-2009 alle ore 17:20
Non è frequente riscontrare un approccio alla materia cosi rigoroso come quello proposto da Andrea Rotella. Occorre infatti molto coraggio per superare l\’impostazione \"ideologica\" che sembra caratterizzare il dibattito, nel nostro paese, sul tema della sicurezza. Una riflessione meditata sui numeri e sulla realtà che essi effettivamente rappresentano, ci permetterebbe di aumentare l\’efficacia degli interventi finalizzati ad aumentare la prevenzione degli infortuni, ma anche di ottenere maggiore collaborazione dal mondo delle imprese.
Ringrazio ed auspico ulteriori approfondimenti.
Scritto il 22-6-2009 alle ore 19:00
Ringrazio tutti per i commenti ed, in ordine cronologico rispondo:
Antonio Cappa
Per sapere in quali aziende avvengono gli infortuni basta guardare le statistiche infortuni delle singole aziende in tre anni consecutivi. Se tre infortuni in un anno non fanno primavera, tre infortuni l’anno in tre anni consecutivi sono un indice. Di cosa? Proprio questo è il punto da accertare: violazione della norma o incidente?. Il dato che ti \"perplime\" di più (ovvero che la grande parte degli incidenti avvenga in sole 40.000 aziende) non è nulla se pensi che la media degli infortuni in aziende con più di 5 infortuni l\’anno è di 26,5(!). So che sembra strano, ma proprio per questo affermo che se qualcuno usasse un pò più la matematica e meno la pancia per fare controlli (leggi \"coordinamento\") faremmo un grosso passo avanti nella prevenzione
Avv. Davide Di Felice
Forse è come dice Lei, anzi sicuramente la sua affermazione nasconde una dato la cui rilevanza non è possibile determinare. Tuttavia, vale la pena segnalare come, in realtà, il dato Eurostat se è incompleto, lo è soprattutto a sfavore dell\’Italia, in quanto siamo uno dei pochissimi paesi che forniscono statistiche complete.
In particolare:
1)alcuni Paesi membri (Danimarca, Irlanda, Paesi Bassi, Regno Unito e Svezia), non disponendo di un sistema assicurativo specifico, non sono in grado di fornire dati completi ma presentano \"livelli di sottodichiarazione compresi tra il 30% e il 50% deltotale\";
2)alcuni Paesi membri (in particolare anglosassoni) non rilevano gli infortuni stradali avvenuti nell’esercizio dell’attività lavorativa, in quanto rientranti nella tutela non dei rischi da lavoro ma dei rischi da circolazione stradale;
3)in molti Paesi membri i lavoratori autonomi (una categoria quasi ovunque molto consistente) e relativi coadiuvanti non sono coperti dai sistemi di dichiarazione nazionali e quindi esclusi dalle rispettive statistiche, o totalmente (Belgio, Grecia, Francia, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Irlanda del Nord) o parzialmente (Germania, Spagna, Austria, Finlandia). In Italia, come noto, tale categoria è normalmente coperta;
4)in alcuni Paesi membri diversi importanti settori non vengono considerati nelle statistiche; in particolare, parti del settore pubblico (amministrazione pubblica), dell’Estrazione di minerali e parti del settore Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni non sono coperti o sono coperti solo in parte;
5)in Germania vengono presi in considerazione solo i decessi avvenuti entro 30 giorni.
Scritto il 22-6-2009 alle ore 20:14
L’analisi riportata da Rotella è sicuramente svolta con attenzione e prende in considerazione tanti aspetti sconosciuti a chi non si occupa quotidianamente della questione.
Nella mia limitata esperienza, però, tendo a condividere le osservazioni di Cappa. E’ indispensabile che i controlli vengano svolti con SERIETA’ dagli organi preposti.
Per quanto riguarda i numeri, poi, non mi pare corretto considerare infortunio sul lavoro l’incidente stradale.
Scritto il 22-6-2009 alle ore 21:40
Le classifiche, come tutte le classifiche, sono interpretate, da chi le legge,e soggettivate, da chi le scrive.Parlare di classiche, poi, in campo infortunistico ha un senso macabro: vogliamo stabilire chi ha meno funerali all\’anno? Non credo sia questo il punto.
Proviamo a parliamo di leggi; il nostro Paese è forse quello più dotato del contingente europeo, per non parlare di quello americano. Quindi non è un problema di leggi.Parliamo allora di conoscenza.Al giorno d\’oggi, un qualunque imprenditore, per sprovveduto che sia, non ha conoscenza della sicurezza sul lavoro? Basta digitare sicurezza sul lavoro su un qualunque motore di ricerca del web e compaino tanti siti nei quali tutti possono essere informati su leggi, circolari, norme e con una picccola spesa ci si può abbonare a rubriche o siti che informano mensilmente, se non quidicinalmente, sul mondo della sicurezza sul lavoro! Per non parlare delle associazioni di categoria che oggigiorno sono molto presenti nel campo dell\’informazione inerente la sicurezza sul lavoro.Qual\’è quindi il problema?Il problema è la cultura della sicurezza. Saremo un Paese preventivamente e protettivamente all\’avanguardia nel campo della sicurezza sul lavoro quando ogni componente di questo mondo ( datore di lavoro, preposti, dirigenti, operai e tutte le ditte terze) capirà che la cultura della sicurezza non è indossare un DPI perchè vi è imposizione ma perchè è la conoscenza e la coscienza del soggetto ad imporlo; che la formazione non è qualcosa in più che deve essere elargito fuori dal normale orario di lavoro ma una componente continua del lavro stesso. Ma la cultura ha bisogno di tempo per crescere e cambiare, che non accelera solo per una nuova legge o un nuovo decreto. Occorre coltivarla con cura, generazione dopo generazione, e alla fine se ne colgono i frutti.
Sperare che più controlli o nuove leggi mitighino i conteggi degli infortuni mortali è solo una scorciatoia che non porta lontano e lascia inalterato il campo di battaglia del lavoro, dando nuove armi ai contendenti anzichè toglierle.La sicurezza non si conqusta con la lotta tra le aprti ma con la crescita costruttiva di tutte le parti interessate.
Scritto il 22-6-2009 alle ore 21:48
Ma qualcuno conosce le cause della morte dei tre operai??? Perdonate la mia ignoranza ,,,,,,
Scritto il 23-6-2009 alle ore 08:05
Faccio riflessione solo su due aspetti:
1 – Ma di che ispettori parlate?
(nel sistema giuridico italiano l’igiene e sicurezza, tranne che nella sola edilizia è competenza ESCLUSIVA delle ASL, e chi sarebbero questi 2000 ispettori?) se non abbiamo chiaro questo mi sa che parliamo di cose diverse.
2 – sulle statistiche ci sarebbe da dire……….
3 – Se il lavoratore HA i DPI possiamo anche parlare di CULTURA della sicurezza ma se in una vasca di veleni il lavoratore NON HA l’autorespiratore, usiamo almeno rispetto per chi la cultura non può più farsela.
Scritto il 23-6-2009 alle ore 09:10
Interessanti riflessioni…
Per “MC”: dovrebbe essersi trattato di morte per asfissia dovuta alla permanenza di azoto impiegato per bonificare la cisterna.
Per “ispettore del lavoro”:
al 2007 i dati sono i seguenti:
ispettori ASL: 7.843
Ispettori del lavoro: 2.245
ispettori del comando carabinieri per la tutela del lavoro alle dipendenze del ministero del lavoro: 502
Ovviamente non sono tutti UPG, ma 2000 sono 1/5 del totale….
Mi limito ad osservare che nel solo Lazio, nell’anno 2006, le sole Direzioni provinciali del lavoro hanno effettuato 3.215 ispezioni per la verifica del rispetto delle normative in materia di igiene e sicurezza sul lavoro.
Nello stesso anno, il Comando Carabinieri per la Tutela del Lavoro ha effettuato 2.866 ispezioni
Scritto il 23-6-2009 alle ore 10:01
L’Italia ha buone leggi e finanziamenti inesistenti.
Parliamo di un Paese in cui gli Ispettorati del lavoro non hanno soldi per le trasferte dei suoi ispettori. Né per eventuali straordinari.
Parliamo di un Paese in cui i controllori sono costretti a recarsi a effettuare i controlli in autobus. Ossia a limitarsi a controllare le aziende che insistono nel raggio dei servizi pubblici perchè nella maggior parte delle direzioni provinciali del lavoro non può venire compensato l’uso dell’auto propria dell’ispettore.
Perciò il numero dei controlli effettuati è un dato assolutamente non significativo. Ditemi su quali tipologie di aziende sono stati effettuati.
Controlli mirati? Controlli capillari? Cultura della sicurezza?
Di quale Paese stiamo parlando?
sylvia (responsabile Contenzioso del lavoro Ente pubblico)
Scritto il 23-6-2009 alle ore 10:06
penso che ogni riflessione fatta porti ad aumentare la cultura sulla sicurezza che ad oggi in questo paese purtroppo manca,non fermiamoci alle morti bianche ma mettiamo in evidenza migliaia di infortuni invalidanti che sono il vero specchio della situazione.Complimenti ad Andrea Rotella per l’esaustività dei dati forniti.
Buona giornata.
Scritto il 23-6-2009 alle ore 10:26
Bella analisi, coraggiosa.
Cercando di colpire chi sicurezza non fa (doveroso) e quindi giustamente andare da chi ha infortuni più alti della media.
Sarebbe anche ora di cominciare a parlare di come le aziende possono agire PER la sicurezza.
quante volte si danno i DPI e poi non li si vedono usati?
quanti operai in cantiere si rifiutano di mettere il casco perché fa caldo?
Quanti non usano i DPI perché “per due minuti”?
Quanti operatori tolgono switch e protezioni dalle macchine perché sono una rottura di scatole e rallentano il lavoro?
La sicurezza si fa in due, l’azienda formando e fornendo i DPI, ma anche chi lavora facendo attenzione a quello che fa, applicando le procedure e ponendo attenzione.
Invece troppo spesso vediamo persone che “l’ho fatto mille volte” hanno problemi per eccesso di confidenza (tipico dei manutentori purtroppo).
Ripeto, nulla togliendo alle responsabilità delle aziende.
Scritto il 23-6-2009 alle ore 10:37
Per “MC”: dovrebbe essersi trattato di morte per asfissia dovuta alla permanenza di azoto impiegato per bonificare la cisterna.
Dovrebbe??? Allora nessuno conosce il motivo della morte???
Permanenza di azoto ….. quindi il serbatoio era stato bonificato, suppongo si usi l\’azoto invece dell\’aria data la presenza in quest\’ultima di ossigeno. La saturazione con azoto rimuove tutti gli altri gas o vapori presenti e quindi bonifica il serbatoio contro il rischio di presenza di vapori velenosi o scoppio/incendio. Il problema è che l\’uomo necessita di ossigeno nell\’aria e l\’azoto pur non essendo velenoso (come alcuni giornali che ignorano la presenza dell\’80% di azoto nell\’aria hanno scritto) non giova alla respirazione.
Tre morti per asfissia da carenza di ossigeno ….. mahh
Nessun giornale ha scritto nulla circa l\’esistenza (ed il rispetto) delle procedure di bonifica, delle procedure di lavorazione, della presenza dei DPI, della formazione ed informazione dei lavoratori addetti ecc.
Non vi sembra che sia stata trascurata l\’opportunità da parte della stampa di fornire indicazioni essenziali e soprattutto rimarcare l\’essenzialità di regole di comportamento, indicazioni di procedure di sicurezza, formazione, informazione ecc.
Scritto il 23-6-2009 alle ore 10:49
Ha ragione MC, l’uso del condizionale era semplicemente legato al fatto che le notizie di cui dispongo sono quelle comunemente reperibili dai media i quali non si sono certo prodigati nell’informare gli italiani sulle modalità dell’accaduto.
Ovviamente la magistratura sta accertando e, magari, ha anche finito (l’autopsia dovrebbe aver sciolto qualunque dubbio), ma come giustamente fa osservare lei, sul tema della sicurezza del lavoro frequentemente gli organi di informazione si limitano spesso a concentrare la loro attenzione il giorno dell’evento (a dir la verità la stessa cosa accade per tutti i vari scandali o denunce che suscitano clamore: grande attenzione lì per lì e poi il vuoto, indipendentemente da come la questione sia andata a finire).
Non dando seguito e, soprattutto, il dovuto risalto alle reali dinamiche degli eventi che costituiscono il “case history”, non si aiuta di certo la cultura della prevenzione
Scritto il 23-6-2009 alle ore 10:52
Se dai dati INAIL provate a scorporare gli infortuni in itinere (casa-lavoro) o quelli stradali, l’incidenza infortunistica si ridurrebbe di molto. Non mi risulta che molti Stati europei prendano in considerazione tali eventi , in quanto li riconducono alle norme della circolazione stradale
Scritto il 23-6-2009 alle ore 22:49
Non posso fare altro che condividere in pieno tutti i post di Andrea Rotella.
Scritto il 24-6-2009 alle ore 10:12
A mio parere Andrea propone una visione particolarmente coraggiosa cercando di misurare il fenomeno con gli strumenti che abbiamo ora a disposizione, che sono le statistiche Eurostat e sfrondandolo dalle interpretazioni più o meno interessate che vengono molte volte proposte.
Purtroppo si discute di statistiche. A questo proposito Mark Twain asseriva che esistono tre tipi di bugie: le piccole bugie, le grandi bugie e le statistiche.
Nonostante questa considerazione, non posso far altro che constatare come si sia proposto un metodo quantitativo molto interessante dal quale partire per indirizzare le ispezioni sul lavoro. Si tiene in particolare considerazione un aspetto che viene molte volte trascurato: la finitezza delle risorse. Con una piccola quantità di controlli, se correttamente indirizzati, si potrebbero verificare le aziende maggiormente problematiche.
In fondo, gli esperti di organizzazione non insegnano che con il 20% delle risorse si può porre rimedio all’80% dei problemi?
http://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_Pareto
Ciao
Marzio
Scritto il 24-6-2009 alle ore 15:23
A proposito … http://news.google.it/news?pz=1&ned=it&topic=n&ncl=dt2J8-B7eNFXhkMmBa8S6UX0jpT8M
Grazie.
Davide
Scritto il 24-6-2009 alle ore 16:46
L’idea forse non è “da buttare”: http://www.rassegna.it/articoli/2009/06/24/48956/incidenti-lavoro-sacconi-patente-a-punti-per-imprese-edili
Saluti a tutti.
Davide
Scritto il 25-6-2009 alle ore 08:35
Se l’Ing. Marzio Marigo approva il ragionamento, il solco è orami tracciato
L’Avv. Di Felice, con i suoi link, da un lato conforta i miei dati, dall’altro sconforta la mia persona. Se comincio a pensarla come i politici che mi governano, questo significa che essi sono davvero espressione della volontà degli italiani….
Chiaramente scherzo, anzi ringrazio l’avvocato, in particolare per il secondo link col suo riferimento alla “patente a punti”, un concetto da valutare con attenzione ma che in qualche misura è già contenuto all’interno del decreto correttivo del D.Lgs. 81/2008 quando parla di “gravi” e, soprattutto, “plurime” violazioni ai fini della sospensione dell’attività imprenditoriale
Scritto il 25-6-2009 alle ore 10:13
ho letto ieri i dati inail del 2008
morti sul lavoro 1120
di cui autotrasporti 335
casa lavoro 276
a mio parere il casa/lavoro è esclusiva della tematica della circolazione stradale
autotrasporti anch’essa prevale la tematica della circolazione stradale anche se possiamo in via cautelativa inserire la sicurezza del lavoro per quello che riguarda l’organizzazione del lavoro (tempi di percorrenza e manutenzione dei mezzi) in via prudenziale pari al 40% , che corrisponderebbe a 134 eventi
decurtando le quote derivanti dai rischi da circolazione stradale
1120+
201-
276- 643 =
penso che gli effettivi infortuni sul lavoro siano 643
Scritto il 25-6-2009 alle ore 13:21
… scusatemi ancora, forse mi sfugge qualcosa.
Ho riletto i dati sugli infortuni rilevati dall’Inail e presentati nel rapporto annuale.
Calano gli infortuni sul lavoro; aumentano le malattie professionali.
Già … ma sono calate in modo rilevante anche le denunce di infortunio …
Ovvero: meno denunce di infortunio = meno incidenti sul lavoro rilevati … o no?
Grazie.
Davide
Scritto il 25-6-2009 alle ore 15:37
LA MATERIA DELL’IGIENE E SICUREZZA NEI LUOGHI DI LAVORO DIVERSI DAI CANTIERI EDILI RIENTRA TRA LE COMPETENZE ESCLUSIVE DELLE ASL E NON DEGLI ISPETTORI DEL LAVORO, SE DEL CASO INTERPELLATE IL MINISTERO DEL LAVORO
Scritto il 25-6-2009 alle ore 15:42
I CONTROLLI IN MATERIA DI IGIENE E SICUREZZA SUL LAVORO SONO DI COMPETENZA DELL\’ISPETTORE DEL LAVORO SOLO NEI CANTIERI EDILI.
Forse non abbiamo le stesse informazioni, chiedete alla Direzione Provinciale del lavoro di Torino, al regionale od al Ministro se gli ispettori del lavoro avessero competenza nell\’ambito dei luoghi di lavoro della Tyssenkrup, e per piacere non alimentate ambiguità del genere, per rispetto di chi si batte da una vita per far rientrare le competenze in materia di sisurezza agli ispettorati del lavoro
Scritto il 25-6-2009 alle ore 18:15
Ho il massimo rispetto per il vostro lavoro e lungi da me alimentare ambiguità. Nessuno ha affermato che gli ispettori del lavoro avessero competenze in tutti gli ambiti e del resto, piuttosto, riflessioni come queste le dovrebbe fare chi legifera, restituendo le competenze all’ispettorato (battaglia, la sua, che condivido pienamente) e migliorando il coordinamento tra gli enti di controllo.
Cordialmente
Scritto il 25-6-2009 alle ore 19:29
Il discorso è che se ci mettiamo a ragionare abbiamo tutti ragione e dimentichiamo che chi fà queste leggi, molte volte, non sà che cosa è un cantiere di lavoro piuttosto che uno stabilimento, prima di parlare e fare retorica bisognerebbe avere conoscenza di mezza fase lavorativa per capire come è difficile evitare infortuni per determinate attività lavorative.
Scritto il 30-6-2009 alle ore 17:25
Mi sento di condividere in linea di principio l’intento di Andrea, ovvero quello di riportare nella giusta prospettiva il pensiero che potrebbe fare una persona comune in merito alla tematica degli infortuni sul lavoro.
Il piccolo imprenditore, messo per la prima volta di fronte all’elefantiaco sistema necessario per organizzare la sicurezza nella sua azienda, spesso ci chiede: “Ma tutto questo servirà a qualcosa?”.
Noi come tecnici, in scienza e coscienza, dobbiamo rispondere con una sola voce: “Sì, i dati ci incoraggiano!”.
Scritto il 7-7-2009 alle ore 17:13
Non so come funzioni un Blog e vedendo l’ultimo commento del 30 giugno essendo oggi il 7 luglio sono portato a pensare che il mio pensiero non sarà letto da nessuno o che il blog stesso è già chiuso. Comunque vorrei solo testimoniare il mio plauso all’autore Andrea Rotella per lo spunto di obbiettività che un argomento così delicato richiede proprio in partenza per poter iniziare a ragionare attorno a questo argomento. La materia è molto delicata e la posta in palio è altrettanto importante, io vorrei solo offrire un piccolo angolo da cui guardare la questione. Ritengo che lo Stato, “emanatore” smisurato di regole (in questa materia così come in tutte le altre) si dimentichi sempre della centralità del controllo degli organi preposti. Non tanto perchè non preveda di incentivarli o di sollecitarli ma perchè NON corregge l’approccio completamente sbagliato che gli stessi ispettori hanno nel momento in cui si apprestano alle verifiche del caso. Il “sentimento” che guida la visita ispettiva è uno e uno solo “TROVARE L’ASPETTO DA SANZIONARE” e mai invece quello che dovrebbe essere INDIRIZZARE, CORREGGERE, INFORMARE, FORMARE e poi anche SANZIONARE. Ho esperienza professionale diretta in materia e posso dire che l’impreparazione degli organi ispettivi è così profonda che c’è effettivamente da augurarsi di non veder mai la propria azienda oggetto di questo tipo di attenzioni. Anche questo è un aspetto che deve cambiare, così come in questi anni le aziende sono cambiate. Non ci si può accontentare di dare qualche migliaio di Euro di sanzione a chi ha tenuto un giorno un dipendente in modo irregolare e disinteressarsi completamente del cantiere di fianco solo perchè essendo completamente in nero e senza partita iva e quindi NON esistendo (per la burocrazia) NON può essere motivo di vero impegno. Sulla base di questa riflessione concludo dicendo che l’affermazione “Colpirne 1 sarebbe sufficiente ad educarne 100″ mi trova daccordo solo per il filo logico totalmente condivisibile dell’articolo di Andrea. Rimane però il pericolo che partendo anche da queste giuste considarazioni si continui proprio a “colpirne 1 per diseducare tutti gli altri” …compreso il colpito
Grazie
Scritto il 8-7-2009 alle ore 07:15
Nel ringraziare per gli apprezzamenti, specifico che tutti i blog di Postilla restano, attivi, visibili e commentabili fino a data da destinarsi.
Nel tuo commento rivedo completamente la mia esperienza e purtroppo devo confermare una tendenza essenzialmente rivolta alla repressione da parte degli organi di vigilanza.
Ritengo che questo sia proprio legato, per buona parte, ad un regime di controlli troppo lasco per conseguire l’obiettivo di riuscire a fare realmente prevenzione in azienda: quando un ispettore visita un’azienda, sapendo che essa probabilmente non verrà reispezionata per un tempo presumibilmente lungo, tenderà unicamente a reprimere le eventuali violazioni della norma, con l’unico effetto che tu evidenziavi.
Invece, per poter fare prevenzione, anzi meglio, come affermavi, per indirizzare, correggere, informare, formare, è necessario uno sforzo supplementare da parte dell’organo di vigilanza che richiede presenza costante sul territorio e nelle aziende, controlli rivolti a verificare soprattutto il MANTENIMENTO delle misure e dei livelli di sicurezza raggiunti, suggerendo nuovi miglioramenti.
Ciò richiede enormi sforzi da parte dell’Amministrazione e, come facevi notare, anche da parte dei singoli ispettori, ai quali viene richiesto un compito di non semplice attuazione, dovendosi passare dalla rigida attuazione delle norme, all’educazione al rispetto delle stesse.
Oggi può sembrarci assurdo, ma in realtà questo è l’unico vero strumento per dare una svolta al fenomeno infortunistico italiano, ormai anch’esso entrato nel circuito mediatico e quindi esposto ai rischi di una retorica sempre crescente.
E’ ipocrisia soffermarsi sul numero di morti sul lavoro, senza guardare complessivamente il numero di infortuni.
E’ ipocrisia limitarsi al fenomeno infortunistico senza mai enunciare (mai!) il numero di malattie professionali e il numero di morti ad esse correlate.
E’ ipocrisia limitarsi ad invocare maggiori controlli senza considerare che quando buona parte di un paese non rispetta le norme, il problema è culturale e non può essere curato con la sola repressione.
Le sanzioni devono costituire il complemento indispensabile ad un sistema basato sulla cultura della sicurezza e della prevenzione, intervenendo in quelle situazioni nelle quali tale cultura non riesce ad attecchire. Ma quando accade che è la cultura della sicurezza a fungere da complemento ad un sistema basato sulla repressione (anche questa potrebbe essere una strategia volontariamente attuata, ma dubito sulla sua effettiva volontarietà) c’è da chiedersi come mai, dato l’elevato numero di violazioni rilevate dagli organi di controllo durante la loro attività, non ci si sofferma sul fatto che una norma per essere seguita, necessita di essere capita e condivisa nelle sue finalità, anche quando si punta tutto sulle sanzioni come strumento deterrente.
E questo, come si diceva, richiede uno sforzo supplementare, capacità anche comunicative da parte degli ispettori, presenza costante sul territorio e nelle aziende, ci vuole volontà, non basta dire che servono più ispettori.
Se non mi fossi sbagliato e le statistiche paiono confermarlo, un organo di vigilanza dovrebbe, in via preliminare, fare un’attenta analisi di questo fenomeno e poi “piantare le tende” nelle aziende a maggior rischio, suggerendo gli adempimenti necessari e sotoponendole ad un costante regime di controlli, fin quando la loro tendenza infortunistica non muta.
Non sono necessarie continue sanzioni per raggiungere questo obiettivo.
Un’azienda che sa di poter essere effettivamente sottoposta a controlli e che sente la presenza dell’organo di vigilanza, magari dopo essere stata sanzionata una prima volta, non si ‘lascia andare’ dopo essersi ‘messa in regola’ (come si dice e come purtroppo accade), ma tenderà a mantenere il livello di sicurezza acquisito, prestando continua attenzione alla sicurezza sul lavoro.
Grazie
Scritto il 15-7-2009 alle ore 11:53
Mi pare ottima la riflessione di Rotella del 8/7/09; ci vedo il punto di vista della gestione della qualità: una ispezione deve essere periodica, non per mazzolare (o almeno non solo per) ma per indirizzare su nuove rotte e verificare se le misure correttive sono state intraprese, e riflettere sui loro effetti.
Putroppo non credo che questa sia la formazione culturale sottesa alla maggior parte dei nostri “controllori”. Probabilmente anche perchè non hanno le possibilità (tempo, finanziamenti, classiche necrosi della nostra burocrazia) di gestire un tale tipo di “tutoraggio”. Se lo pagasse l’azienda?
Continuerò a seguire questo blog, mi pare molto professionale, complimenti a Andrea Rotella e grazie
Scritto il 6-9-2009 alle ore 19:52
Far ritornare la competenza alle ASL?
state scherzando?
Il legislatore nel 78 ha spostato le competenze alle ASL per l’incapacità degli ispettorati.
In Italia mancano i controlli, mancano gli ispettori ASL.
Tra il 2006 e 2008 Damiano ha assunto solamente ispettori del lavoro, che con la sicurezza non c’entrano niente eccezion fatta per l’edilizia ma hanno comunque l’obbligo di avvisare la ASL competente.
E’ una vergogna
Scritto il 6-9-2009 alle ore 19:57
dimentikavo
GLI ISPETTORI ASL IN ITALIA SONO 1900 NON 7000.
Scritto il 7-9-2009 alle ore 09:55
Premesso di aver precisato nel mio commento che non tutti i 7000 ispettori ASL sono UPG, con la modifica introdotta dal D.Lgs. 106/2009 al D.Lgs. 81/2008, il legislatore sembra comunque voler in qualche modo far recuperare alcune competenze agli ispettori del lavoro, i quali ora, per esempio non dovranno più avvisare le ASL per fare le loro ispezioni in cantiere, ispezioni che sia per gli ispettori ASL che per gli ispettori del lavoro, dovranno avvenire nell’ambito del coordinamento di cui all’art. 5 del medesimo decreto.
Coordinamento che, per l’appunto, non è altro che quello che auspicavo nel mio post, anche per far fronte alla presupposta carenza di ispettori
Scritto il 11-9-2009 alle ore 14:08
Diciamo che in Italia si sta forzando la mano per far rientrare le competenze agli ispettorati(ora DPL).
Torno a ripetere che gli ispettori(TECNICI DELLA PREVENZIONE) ASL UPG negli SPSAL Italiani sono 1900(carenza vergognosa).
Inoltre nessun dato mi conferma che ci siano circa 5000 ispettori senza qualifica UPG negli SPSAL.
Chi entra negli SPSAL diviene, previo accertamento del prefetto, UPG ai sensi della L. 833/78.
Io mi chiedo e chiedo a lei:
1)Perchè non si assumono tecnici della prevenzione laureati negli SPSAL dato che esiste un apposito corso di laurea?
2)Perchè l’ex ministro Damiano ha fatto la politica al contrario assumendo solo nelle DPL?
3)Lo saprà l’ex ministro Damiano che l’igiene e la sicurezza sono esclusivi delle ASL con deroga all’ispettorato per i cantieri?
4)Che competenze puo mai avere un ispettore del lavoro(laureato in giurisprudenza) in un cantiere edile a differenza di un ispettore ASL laureato con il 90% di esami in materia di sicurezza??
Scritto il 11-9-2009 alle ore 18:29
Non comprendo bene il senso dell’intervento.
Se 1900 fossero i soli ispettori ASL dello SPISAL (dato che non smentisco, non possedendo informazioni aggiornate al 2008), tutti con qualifica di UPG, ai quali aggiungere 2800 ispettori del lavoro (anch’essi UPG) e 500 Carabinieri del nucleo tutela del lavoro, anche ammettendo che solo i 2/3 di essi svolgano effettiva attività di vigilanza, resta comunque un numero tale che, pur nella divisione delle rispettive competenze, se opportunamente coordinato – e questo era il senso del mio post nel blog – potrebbe dare risultati importanti.
Riguardo dunque alle sue 4 domande, io personalmente non ho risposte (ho idee personali, ma le tengo per me), ma anche rivolgerle all’ex ministro Damiano non porta lontano nel ragionamento, dato che non mi pare che l’attuale ministro Sacconi stia adottando una linea differente, anzi, ripeto, con il Decreto correttivo si è fatto un altro passo in avanti verso una revisione delle competenze della DPL.
Tuttavia sarei interessato a conoscere l’idea che lei si è fatta in proposito.
Grazie
Scritto il 11-9-2009 alle ore 19:02
Sul coordinamento concordo in pieno.
Non concordo sui numeri. I 1900 UPG ASL non sono distribuiti uniformemente sul territorio e alcune aree geografiche sono più penalizzate di altre. Quindi se ad esempio nella ASL XX ho 2 ispettori ASL cosa mai potremmo controllare di igiene e sicurezza?
Per quanto riguarda il D.lgs 109/09 e in particolare l’art. 13 non penso si sia fatto un grande passo in avanti.
Io penso sarebbe più opportuno creare un unico ente di controllo dove riunire ispettori asl e del lavoro senza questa frammentazione che purtroppo non fa bene a nessuno.
Scritto il 4-5-2012 alle ore 12:30
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