30 luglio 2010
Stress lavoro-correlato: la Proroga
Ed alla fine, puntuale come un’influenza stagionale, col suo incedere millenaristico di provvedimento che tutto monda e rinvia, è arrivata Lei: la Proroga all’obbligo di valutazione del rischio da stress lavoro-correlato.
C’è qualcosa di quasi mistico e demiurgico nella Proroga, la forza ordinatrice e plasmatrice del nostro universo giuridico, che trasforma e forma, ma non crea; che vivifica il D.Lgs. n. 81/2008 e lo rende anima delle norme in materia di sicurezza e salute dei lavoratori. Molto affascinante…
Si tratta della terza proroga nei confronti di questo specifico obbligo e proprio un anno fa, di questi tempi, era sufficiente che un lavoratore a mensa versasse accidentalmente del caffè e la macchia sul tovagliolo si trasformava in un test di Rorschach con conseguente immediato deferimento del lavoratore stesso all’U.S.P.A. (Unità Speciale di Psicologia Aziendale) per valutare il rischio da stress lavoro-correlato del soggetto.
Poi, col c.d. Decreto Correttivo, è arrivata la Proroga che ha rimandato tutto al 1° agosto 2010…
Ed ora eccoci qua, in attesa del prossimo 31 dicembre, pronti a festeggiare con il nuovo anno anche l’entrata in vigore della valutazione dello stress lavoro-correlato, sempre con la speranza che il solito Decreto milleproroghe di fine anno non ci guasti la festa.
Cosa io ne pensi di questa proroga, l’ho già espresso nel mio precedente post. Vorrei piuttosto cogliere l’occasione per dare qualche modesto suggerimento sul modo con cui riempire il tempo che ci separa dal 31 dicembre 2010.
Insomma il mio è un invito ad essere come la formica di Esopo, per non rischiare di ritrovarsi a fine anno nei panni della cicala. Ma senza esagerare: ho visto una cicala ereditare una fortuna da una formica morta di stress.
Ormai è chiaro a tutti: ciò che “perplime” di questa valutazione non è la sua necessità o la sua importanza, sulla quale credo si sia tutti convinti, quanto piuttosto il metodo, il “come”, il sentiero da percorrere per raggiungere il Nirvana della prevenzione.
Eh già, perché di alternative non solo ce ne sono tante, ma per giunta non conducono tutte al medesimo risultato ed i costi possono essere anche molto elevati a seconda del metodo che si decide di seguire. Quindi bisogna capire bene “cosa” si vuole ottenere prima ancora di decidere “come” fare per ottenerlo.
Sul punto io ho una mia personale opinione: se l’obiettivo è la prevenzione (lo dice la normativa, non me l’invento io) e se nella maggioranza delle aziende stiamo all’anno zero nei riguardi di questo specifico rischio, a mio avviso è più che sufficiente una semplice “valutazione”, lasciando l’onere di procedere a vere e proprie “misurazioni” solo nel caso in cui si debba ricercare un livello di dettaglio più accurato.
Per dirla in altri termini, il principio che afferma che una corretta valutazione è indispensabile per definire le corrette soluzioni, non viene messo in discussione. Ciò che invece è discutibile è l’affermazione che una corretta misurazione conduca a buone valutazioni e alla scelta delle misure di prevenzione più adatte.
C’è da aggiungere che, tralasciando gli errori che possono essere commessi nell’applicare metodiche complesse a fenomeni non fisici e, dunque, difficilmente misurabili (come dire che l’incertezza apportata dall’errore strumentale rischia di avere un’importanza rilevante sull’incertezza complessiva del risultato), molti di questi strumenti diagnostici forniscono un risultato attraverso l’inserimento del lavoratore (o dell’azienda) all’interno di una “scala di rischio”.
La tendenza, in questi casi, è quella di concentrare le proprie energie nel definire con assoluta certezza la posizione del lavoratore (o dell’azienda) all’interno di quella scala, piuttosto che cercare di analizzare come ci si possa essere finiti e sulle soluzioni da proporre.
Il “quanto” prevale sul “perché” e l’indagine si conclude con sterili constatazioni.
A mio avviso, l’assioma “se non è misurabile non esiste” deve essere radicalmente combattuto. Una misurazione è utile a confrontare risultati tra aziende simili, reparti tra loro confrontabili, verificare se vi siano stati oggettivi miglioramenti tra la situazione precedente e successiva all’intervento. Ma, ribadisco: siamo all’anno zero… è come campionare l’aria per misurare le concentrazioni di un agente chimico, senza che siano stati preventivamente installati dispositivi di captazione sui punti di emissione.
Lungi dall’affermare che il ricorso a metodologie approfondite di indagine sia inutile, ciò che si cerca di dire è che, a volte, si confonde il mezzo con il fine e che si ricorra a sofisticati strumenti che, al termine, non daranno altro risultato che l’ovvia evidenza che era già davanti agli occhi di tutti, dato che la presenza concreta di un rischio da stress lavoro-correlato all’interno di un’azienda è percepibile da chiunque lavori in quell’azienda quanto il rumore in una falegnameria.
È più probabile che, come profetizzano i Maya, ci sia la fine del mondo nel 2012, piuttosto che entro fine dicembre di quest’anno la Commissione consultiva permamente si degni di pubblicare le indicazioni per fare questa valutazione (al limite i due fenomeni coincideranno).
Scritto il 30-7-2010 alle ore 14:55
[…] Leggi l’articolo qui: Stress lavoro-correlato: la Proroga | Il Blog di Andrea Rotella […]
Scritto il 4-8-2010 alle ore 11:45
purtroppo,come spesso avviene,il nostro legislatore esaspera ogni evento,soprattutto nel campo del lavoro e del fiscale,con la conseguenza che i ”furbetti del quartierino” la fanno sempre franca con un buon sorriso alle leggi e leggine.
Scritto il 5-8-2010 alle ore 11:11
Eh sì, arrivato, il Testo Unico torna alle origini, tra insidie, modifiche e magiche realtà
E pensare che mi ero già attivato e ne sono contento, ma ora è giusta approfittare della pausa estiva e rimandare tutto al nuovo anno o chissà quando… con la speranza che il legislatore torni a scrivere solo dopo essersi preparato a tal scopo.
Un caro saluto, buone vacanze.
Luca
Scritto il 4-10-2010 alle ore 15:54
Sono ormai più di 15 anni che ricopro la carica di RSPP. Per non trovarmi all’ultimo istante è già più di un mese che mi sto documentando per poter redigere un documento che si adatti alla mia realtà aziendale. Non riesco a trovare un metodo e, mi sono già consultato con diversi miei colleghi. Spero con i seminari e i corsi che frequenterò fra breve di trovare un metodo. Vorrei aggiungere che a livello personale, questa poca chiarezza mi sta creando una situazione di STRESS a livello personale
Scritto il 22-3-2011 alle ore 17:36
Buon pomeriggio,
il mio commento non è correlato all’argomento del post ma finalizzato a contattare l’autore al fine di chiedere le slide della presentazione tenuta dall’Ing. Rotella durante il convegno a Roma il 10/09/2011 dal titolo “Sicurezza sul lavoro e organizzazione delle imprese e degli Enti” contenenti indicazioni sulla stima dei costi di un infortunio.
Cordiali saluti
Scritto il 25-3-2011 alle ore 20:04
Questo adempimento rientra fra tutti quelli che si fanno non per tutelare i cittadini ma per ingrassare tutte quelle categorie interessate e per creare lavoro su lavoro burocrazia su burocrazia ed è questa la effettiva e vera sostanza dello stress che si crea e per salvaguardarsi da esso eccoti la legge e tutti gli adempimenti del caso e quindi ben vemga la profezia dei Maya e che il 2012 purifichi il mondo da tutte queste assurdità.
Scritto il 26-3-2011 alle ore 09:04
Da cittadino, comprendo benissimo il suo sfogo.
Devo dire che l’idea che lo Stato “crei” i problemi per “guadagnare” dalle soluzioni è una percezione diffusa (che non si limita unicamente alla valutazione del rischio da stress) che, credo, dipenda unicamente dalla sfiducia generalizzata nei confronti di molte istituzioni italiane.
In questo caso, invece, il problema sarebbe di origine europea poichè la necessità di questa valutazione è stata accolta da tutti i paesi di Europa.
E’ probabile, ma non ho riscontri in tal senso di come vadano le cose nel resto d’Europa, che la peculiarità dell’Italia sia quella di averlo affrontato, come è già successo per altri argomenti, in modo approssimativo e con un approccio squisitamente formale, non sostanziale, come lei stesso evidenzia (produzione di carta e parcelle di consulenza, ma il problema, se c’è, è rimasto lì).
A questo punto, però, non posso che riconoscere di essermi sbagliato: la Commissione consultiva permanente è stata più rapida della profezia Maya.
Certo, le sue indicazioni sono state così vaghe da fare impallidire le “Centurie” di Nostradamus e le profezie di Fatima (per restare in tema di divinazioni), ma forse l’umanità ha qualche speranza…